Band-e Amir, Afghanistan © Antonio De Lauri

Giudici e giustizia in Afghanistan

Una magistratura indipendente e competente e’ un elemento fondamentale di un apparato statale stabile e affidabile, in Afghanistan come altrove. Quando i talebani hanno ripreso in mano l’Afghanistan nell’agosto del 2021, molti giudici, in particolare giudici donne, hanno ritenuto che non ci fosse piu’ spazio per loro nel paese.

Nel giugno 2020 ho intervistato la giudice Anisa Rasooli, la prima donna nominata alla Corte Suprema nella storia dell’Afghanistan. Durante l’intervista, Rasooli ha dichiarato: “Credo che il sistema giudiziario afgano stia riacquistando una certa decenza. Ci sono ancora problemi, ma sono in corso notevoli progressi. Se la situazione attuale persiste, sono ottimista sul futuro della magistratura in Afghanistan. Tuttavia, se questa tendenza si dovesse interrompere a causa di conflitti o disordini politici e sociali, nessuno sa quale potrebbe essere il futuro del sistema giudiziario. Spero davvero che questo non accada” (De Lauri 2020). Un anno piu’ tardi, le paure della giudice Rasooli sono diventate realta’ e si e’ sentita costretta a lasciare il paese nel contesto delle caotiche evacuazioni seguite al ritorno dei talebani a Kabul.

La giudice Rasooli non è l’unica ad aver lasciato il paese. Di recente ho intervistato un’altra giudice, Tayeba Parsa (vedi intervista completa sotto), che ha deciso di fuggire in Europa. Molti altri hanno seguito lo stesso percorso o tentano di farlo. In una fase storica complicata come quella attuale, si mischiano i percorsi di coloro che sono realmente in pericolo con coloro che, piu’ semplicemente e legittimamente, desiderano cambiare vita o sentirsi piu’ sicuri.

Certo, occorre sottolineare che la magistratura afgana era ben lungi dall’essere perfetta e ben funzionante anche prima dell’agosto 2021. La massiccia ricostruzione giuridica promossa dalla comunità internazionale negli ultimi venti anni non ha avuto particolare successo, anche a causa dell’incapacità di comprendere la specificita’ del sistema della giustizia afgana in cui convergono diverse fonti del diritto, come il diritto statale, il diritto islamico e le norme consuetudinarie (De Lauri 2012).

Dal 2001 in poi, un ampio processo di ricostruzione dell’Afghanistan e’ stato promosso e attuato da una miriade di organizzazioni internazionali e diversi governi, i cui obiettivi umanitari e di sviluppo si intrecciavano a interessi politici nella regione, alle logiche dell’occupazione militare, agli interessi economici e alle contese geopolitiche. Durante tutto il processo di ricostruzione, si e’ imposto un approccio atto a legittimare tutti gli interventi esterni in nome della modernizzazione producendo allo stesso tempo un’immagine dell’Afghanistan come una società bloccata nelle proprie tradizioni e resistente ai “miglioramenti” imposti dall’esterno. Questo atteggiamento può spiegare perche’, nel 2004, e’ stato promulgato un codice di procedura penale provvisorio senza la necessaria competenza in diritto islamico e conoscienza della societa’ afgana, rendendone quindi molto difficile l’utilizzo: diversi pubblici ministeri di Kabul, ad esempio, mi hanno detto che spesso dovevano bypassarlo. Saber Marzai, procuratore dell’11° distretto di Kabul, mi ha riferito il 12 marzo 2008: “La collaborazione tra procuratori e polizia e’ molto difficile. Spesso abbiamo degli scontri duri. Il lavoro non è stato agevolato dal Codice di procedura penale del 2004, che non e’ adatto al nostro sistema. Nella maggior parte dei casi dobbiamo aggirarlo […]. Peccato pensare al lavoro inutile che viene fatto; unamaggiore conoscenza del contesto afgano e un po’ di pazienza avrebbero portato a un risultato diverso” (De Lauri 2012). (Alcuni anni dopo questa intervista, il codice del 2014 ha sostituito quello del 2004.) Nel complesso, l’opportunità di una riforma comprensiva e stratificata del sistema della giustizia e’ stata sprecata durante i venti anni di ricostruzione e, oggi ancor di piu’, persiste un diffuso senso di sfiducia da parte dei cittadini afgani nei confronti della magistratura.

Tra gravi problemi legati alla corruzione, al nepotismo, all’influenza politica e alla segregazione di genere, la presenza delle donne nella magistratura e’ aumentata nel ventannio dell’intervento umanitario. Prima del ritorno al potere da parte dei talebani, vi erano circa 250-300 giudici donne nel paese, la maggior parte a Kabul, che rappresentavano circa l’8-10 per cento della magistratura nel suo insieme. Le evacuazioni seguite all’agosto 2021 e il clima di insicurezza nel paese hanno lasciato una magistratura estremamente compromessa. Questo e’ stato in effetti un dilemma per coloro che sono partiti e indirettamente per coloro che hanno facilitato le evacuazioni, inclusi diplomatici, ricercatori, associazioni di magistrati, ONG e così via. Infatti, mentre l’obiettivo principale in caso di circostanze gravi come un’evacuazione è sempre quello di proteggere vite umane, non si può ignorare che, per pochissimi che riescono a partire, vi e’ una stragrande maggioranza che deve fare i conti con la realta’ di un paese che ora affronta in tutte le sue dimensioni lo spettacolare fallimento di venti anni di intervento militare e umanitario che hanno reso l’Afghanistan ancora più dipendente dagli aiuti esteri. Un fallimento culminato in una evacuazione frettolosa e non adeguatamente gestita dagli Stati Uniti e dai suoi alleati, letteralmete l’opposto di quello che Joe Biden ha affermato essere un “successo straordinario”. La caduta di Kabul era assolutamente prevedibile e una transizione di potere, se questa era l’intenzione implicita dei primi negoziati tra Stati Uniti e Talibani, avrebbe dovuto essere meglio preparata.

Nelle complicate negoziazioni che avranno luogo tra la leadership talebana, i governi stranieri e le organizzazioni internazionali, occorre ora prestare attenzione a quegli aspetti che sono cruciali per la vita quotidiana degli afgani, compresa l’organizzazione e l’amministrazione della giustizia (oltre, ovviamente, a questioni urgenti come lavoro e salari, cibo, ecc.). Molte competenze sono andate perse con la fuga di molti giudici dal paese per garantire la propria sicurezza e quella delle proprie famiglie. Molta preoccupazione rimane nell’immagine quale sara’ il futuro della magistratura e piu’ in generale della giustizia in Afghanistan.

Intervista del 29 novembre 2021

Antonio De Lauri: Vuoi condividere la tua traiettoria personale e le esperienze che ti hanno portata a diventare giudice?

Tayeba Parsa: Alla vigilia dell’invasione sovietica dell’Afghanistan, i miei genitori fuggirono in Iran temendo cosa sarebbe successo se fossero rimasti, e determinati a evitare che mio padre venisse chiamato alle armi. Io e i miei fratelli abbiamo imparato a cucire per aiutare a sostenere la famiglia. Come nuovi arrivati ​​in Iran, abbiamo potuto frequentare la scuola, ma l’accesso all’universita’ era limitato. Andavo cosi’ bene a scuola, tuttavia, che la mia famiglia edcise di tornare in Afghanistan per far si che potessi frequentare l’università. Quando si rivelo’ difficile per mio padre trovare lavoro a Kabul, decise di tornare in Iran e sostenere la famiglia da lontano, in modo che tutti noi potessimo continuare gli studi. Ho cinque sorelle e un fratello. Una famiglia composta in gran parte da donne è considerata debole in Afghanistan. Mio padre vedeva la possibilita’ di superare questa presunta debolezza dandoci la possibilita’ di studiare e rendendoci indipendenti, capaci di reggerci sulle proprie gambe.

Mi interessava il diritto e volevo diventare un avvocato per evitare che i diritti delle persone venissero violati, ma non volevo essere un giudice perche’ la mia immagine dei giudice era solo quella dei giudici che infliggono condanne. Il sistema giudiziario in Afghanistan era corrotto e la magistratura, cosi’ come il percorso per diventare giudici, erano inadeguati, pertanto non volevo essere un giudice penale e mettere in prigione persone senza avere la possibilita’ di valutare prove sufficienti. Ma dopo aver ricevuto il punteggio piu’ alto all’esame di ammissione alla magistratura, ho deciso di sfruttare quell’opportunità per acquisire maggiore familiarità con le leggi e i regolamenti dell’Afghanistan. Dopo la laurea abbiamo avuto l’opportunità di scegliere a quale settore giudiziario interessarci. Non volevo ancora diventare giudice in un tribunale penale, quindi ho scelto un tribunale commerciale per fare esperienza come giudice per pochi anni. Quando ho iniziato a lavorare come giudice, mi sono scontrato con il fatto che le leggi e i diritti delle persone venivano chiaramente violati a causa della corruzione e mi sono resa conto che avevo la capacita’ e persino l’autorita’ di fare qualcosa per proteggere le persone e applicare il diritto. Questa, in fondo, era la mia vera ambizione, quindi ho deciso di rimanere una giudice.

Antonio: Puoi descrivere la tua carriera di giudice?

Tayeba: Ero giudice nella divisione commerciale della corte d’appello della provincia di Kabul. Lavoravo sulle sentenze dei tribunali commerciali di primo grado della provincia di Kabul determinando se affermarle o revocarle. Le sentenze riguardavano, per esempio, contratti tra aziende e privati (​​nazionali ed esteri), casi di proprietà intellettuale, contratti di trasporto, controversie tra aziende e dipendenti. Nel tempo ho svolto diversi incarichi, tra cui quello di giudice della divisione civile della corte di primo grado della provincia di Kabul  (2019-2021), in cui mi occupavo della determinazione dei fatti e delle legge applicabili in materia di proprietà, illeciti civili, cause civili e azioni di risarcimento danni; giudice nella divisione per gli affari pubblici della corte di primo grado della provincia di Kabul (2017-2019), con mansioni legate all’analisi e alle sentenze di cause in cui una delle parti era il governo, per dispute sulla proprietà, casi di diritto amministrativo e controversie tra dipendenti e il governo in quanto datore di lavoro; giudice presso il tribunale commerciale di primo grado della provincia di Kabul (2012–2017), in cui mi occupavo dell’analisi e delle sentenze nei casi di prestito bancario, contratti tra società nazionali e straniere e persone fisiche, casi di proprietà intellettuale, ecc.; assistente giudice presso la Corte Suprema (2011-2012) con mansioni di studio dei fascicoli e stesura di sintesi per ciascuna decisione delle corti di primo grado e di appello in materia di diritto civile.

Ci tengo a dire che faccio parte dell’International Association of Women Judges (IAWJ) e ho collaborato affinche’ l’Afghanistan Women Judges Association (AWJA) divenisse membro dell’IAWJ. Circa 250 giudici donne afgane sono ora membri dell’IAWJ.

Sono anche in contatto con giudici donne nel Regno Unito e abbiamo istituito un programma di tutoraggio per dieci giudici donne afgane. Ognuna di loro ha una referente nel Regno Unito con la quale si incontra regolarmente online.

Inoltre, partecipo alla Alliance for International Women’s Rights (AIWR) che si dedica al rafforzamento dei diritti delle donne in Afghanistan. Ho cercato di includere piu’ giudici donne afgane nel programma di tutoraggio dell’AIWR e ho chiesto alla giudice Anisa Dhanji del Regno Unito di stabilire collegamenti per tutte le giudici donne afgane.

Ho anche lavorato come istruttrice nella formazione per i giudici in Afghanistan in quanto docente di diritto commerciale e diritto amministrativo.

Antonio: Quali considerereste i maggiori ostacoli e sfide per una donna giudice in Afghanistan?

Tayeba: Come sai, per i talebani, essere semplicemente un giudice che lavorava nella precendente amministrazione puo’ essere una ragione sufficiente per essere uccisi senza processo. Non molto tempo fa, due giudici uomini sono stati assassinati dai talebani. In molti casi, per le donne giudici il pericolo e’ persino maggiore che per gli uomini. I talebani credono che le donne non debbano essere giudici perche’ sarebbe contrario all’Islam. Per questo motivo, era per noi prassi comune ricevere lettere dall’agenzia della sicurezza nazionale che ci avvertiva di rischi imminenti alla nostra incolumita’. Le minacce contro le donne giudici erano frequenti e provenivano da coloro che si opponevano al fatto che le donne fossero giudici o, peggio ancora, da coloro che non volevano affatto che le donne lavorassero. Le minacce a volte andavano oltre le lettere e le telefonate. Nell’Afghanistan occidentale, un gruppo di aggressori ha preso il controllo di un tribunale e ha massacrato ogni singolo dipendente. In un attacco suicida davanti alla Corte Suprema di Kabul, due giudici donne neolaureate, Mina e Zarghoona, sono state uccise. Siamo ancora addolorate per la perdita di due nostre sorelle giudici, Zakia e Qadria, che sono state nel gennaio 2021. A un certo punto i talebani hanno iniziato a sparare direttamente contro i giudici e a mettere mine sotto le loro auto. Alcune donne giudici si sono licenziate. La maggior parte ha continuato, nonostante i timori per le proprie famiglie, sapendo che quando uscivano di casa ogni mattina, potevano non tornare. Alcune hanno iniziato a portare armi per proteggersi.

I problemi che ho incontrato personalmente potrebbero essere riconosciuti dalle donne giudici di tutto il mondo: non essere presa sul serio, essere umiliata. Molte giudici donne sono state esclusivamente inpiegate nella corte per l’eliminazione della violenza contro le donne. In una occasione in cui vi era una posizione aperta la mia candidature e’ stata ignorata ed e’ stato selezionato un collega maschio meno qualificato, tanto e’ vero che poi mi hanno chiesto di aiutarlo.  In un’altra occasione ho ricevuto pressioni per cambiare una sentenza e temevo che se non l’avessi fatto sarei stata trasferita come era successo ad altre mie colleghe. Nonostante mi sentissi intimidita, ho mantenuto la mia posizione. Come sai, in Afghanistan una giuria e’ composta da tre giudici. Una volta un giudice uomo mi insulto’ solamente perché non ero d’accordo con lui in una decisione del tribunale. Queste cose possono succedere, specialmente alle donne giudici.

Antonio: Quando i talebani sono tornati al potere nell’agosto 2021, hai deciso di lasciare il paese. Puoi descrivere quel momento e cosa ha significato per te?

Tayeba: Quando le province hanno cominciato a cadere una dopo l’altra, abbiamo deciso di scappare. Mia madre e mia sorella hanno ottenuto i visti per partire. Io e il mio fidanzato ci siamo sposati in fretta senza celebrazioni e il piano era di volare con mia madre una volta ricevuto il documento di matrimonio. Tuttavia non ci siamo riusciti. Proprio mentre guidavamo per incontrarci, abbiamo notato che tutte le strade venivano chiuse e ci siamo resi conto che i talebani avevano preso Kabul. Mio padre mi ha chiamata e mi ha detto di non tornare a casa perche’ c’erano molti posti di blocco. Mi ha detto che avrebbero potuto perquisire la mia macchina e scoprire la mia identita’. Ha detto di non guidare perché una donna alla guida potrebbe creare problemi. A quel punto ho detto a mia madre e mia sorella di partire senza di noi. Ho temuto che non le avrei piu’ riviste e ho pianto. Il loro volo è stato ritardato di 12 ore, ma alla fine sono riuscite a partire. Quella notte io e mio marito siamo rimasti in macchina fino a tardi. Ho visto che i soldati e la polizia buttavano le uniformi per non fari ricnoscere dai talebani. Mi sentivo in trappola e avevo paura, non solo dei talebani ma anche dei criminali che avrebbero potuto approfittare della situazione. Alla fine sia tornati a casa e non siamo usciti per tre giorni. Durante quei tre giorni sono stata in contatto con l’IAWJ e raccoglievo informazioni sulle giudici afgane per loro, perché stavano cercando di avviare un programma di evacuazione. Ho poi ricevuto una telefonata da uno studio di avvocati in Polonia in cui mi proponevano di evacuare, anche per un’intervista in cui mi ero espressa contro i talebani. Non avevo mai avuto intenzione di lasciare il mio paese o il mio lavoro. Ma ero una donna giudice di una minoranza etnica (hazara) e religiosa (sciita) ed ero stata in contatto con organizzazioni e istituzioni all’estero, cosa che alcuni talebani potrebbero considerare un crimine. Andarsene e’ stato doloroso. Sentivo di aver perso tutto cio’ che avevo ottenuto.

Non volevamo che i talebani scoprissero che stavamo partendo, quindi non abbiamo portato nessun bagaglio. Ho preso solo i miei documenti e alcuni libri che amo e che non potevo lasciare indietro. All’ingresso dell’aeroporto c’era un assembramento e i talebani picchiavano le persone. Sono rimasta di fronte all’ingresso senza cibo e senza dormire per 24 ore, poi finalmente sono riuscita a entrare. Mio padre e mio marito hanno aspettato altre 48 ore. Abbiamo lasciato l’Afghanistan con voli separati. Non hanno avuto niente da mangiare e nessun posto dove dormire per tre giorni. Poi ci siamo ricongiunti in Polonia.

Antonio: Qual è la situazione della magistratura ora in Afghanistan?

Tayeba: Per quanto ne so, la maggior parte dei giudici che hanno lavorato nell’amministrazione precedente sono stati licenziati e sono chiamati a rendere conto di quanto hanno fatto. La magistratura ha perso praticamente tutti i giudici competenti ed ora ci sono persino analfabeti, e la società in generale paghera’ il costo di questa situazione. Inoltre, le donne sono state eliminate dalla magistratura. Avere donne nella magistratura era un grande traguardo che è stato perso rapidamente.

Antonio: Quali sono i tuoi progetti personali adesso?

Tayeba: Credo che nessuno possa sopportare la crudelta’ dei talebani e la mancanza di democrazia e stato di diritto. Quindi, un giorno, gli afgani si riprenderanno il loro paese e di nuovo la democrazia regnerà. E voglio prepararmi per quel giorno imparando e studiando per ricostruire la nostra societa’. Credo che molte avversita’ in Afghanistan derivino dalla mancanza di conoscenza. Quindi spero di ottenere una borsa di studio e di poter studiare e acquisire esperienza internazionale che potrò utilizzare per il mio paese in futuro. Ho lavorato e studiato nel campo del diritto per 16 anni e non voglio abbandonare la mia carriera. Spero di sfruttare questa opportunita’ di vivere in Europa per migliorare le mie competenze e servire la comunità internazionale. Spero un giorno di poter tornare in Afghanistan e contribuire a migliorare lo stato di diritto e la democrazia per la mia nazione. Fino a quel giorno voglio continuare a sostenere lo stato di diritto attraverso entità internazionali e fare pressione sui talebani affinché applichino lo stato di diritto.

Poiche’ tutti i membri della mia famiglia sono dispersi (alcuni di loro sono scappati in Iran, altri in Polonia, e presto dovro’ lasciare i miei genitori e andare in un paese di lingua inglese, che non rilascera’ un visto per i miei genitori), la mia speranza e’ che un giorno potremo vivere di nuovo tutti insieme nello stesso paese.

Riferimenti bibliografici

De Lauri, A. 2012. Afghanistan. Ricostruzione, ingiustizia, diritti umani. Mondadori, Milano.

De Lauri, A. 2020. Women Judges in Afghanistan: An Interview with Anisa Rasooli. CMI Insight, https://www.cmi.no/publications/7268-women-judges-in-afghanistan-an-interview-with-anisa-rasooli

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