Image: Mohammed Abubakr (via Pexels/public domain)

Dove sei, Europa?

Il 26 gennaio 2024 la Corte di Giustizia dell’Aja ha accolto la denuncia presentata dal Sudafrica e ordinato a Israele di prendere misure immediate per evitare il genocidio dei palestinesi a Gaza.

Nonostante il cessate il fuoco rimanga un obiettivo complicato, è stato un momento importante perché l’ordine della Corte ha confermato quello che diversi rappresentanti delle Nazioni Unite hanno ripetuto negli ultimi tre mesi, cioé che quello che sta avvenendo a Gaza non può in nessun modo essere considerato una campagna militare di difesa ma, anzi, potrebbe configurarsi come un genocidio. La Corte ha ricordato alcuni dati essenziali, tra i quali l’elevato numero di vittime civili, inclusi migliaia di bambini, la distruzione di case, scuole e strutture sanitarie, lo spostamento forzato della maggioranza della popolazione della Striscia di Gaza, il tutto in un contesto nel quale il governo e l’esercito israeliano hanno continuamente rivendicato il proprio diritto di bombardare, spesso utilizzando un linguaggio deumanizzante nei confronti dei palestinesi, come quando il Ministro della Difesa Yoav Gallant ha detto “stiamo combattendo contro animali umani,” oppure quando Ron Prosor, ambasciatore di Israele a Berlino, ha affermato: “Questa è civilizzazione contro barbarie. Bene contro male.”  

E l’Europa? Silente e complice. Nessun paese occidentale ha supportato la richiesta del Sudafrica presso la Corte dell’Aja. Ora che la Corte ha deciso di accettare il caso, l’apatia politica europea si fa ancora più imbarazzante. Perdipiù, a seguito delle accuse mosse nei confronti di alcuni operatori di UNRWA (l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi) di aver collaborato con Hamas per gli attacchi in Israele del 7 ottobre 2023, paesi come Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Italia, Olanda, Svizzera, Finlandia, Australia e Canada hanno deciso di sospendere i finzanziamenti all’agenzia, di fatto contribuendo alla punizione collettiva della popolazione civile di Gaza. L’esatto contrario di quanto ordinato dalla Corte di Giustizia. UNRWA ha aperto una indagine interna ma, al di là di quel che emergerà, l’agenzia non è certamente priva di aspetti critici e problematici. In generale, le varie agenzie delle Nazioni Unite, incluso UNRWA, sono tutt’altro che perfette. Ma il punto ora non è discutere i termini di una necessaria riforma strutturale delle Nazioni Unite. Le proporzioni della catastrofe umanitaria a Gaza sono tali per cui, tagliare gli aiuti ora, equivale a esacerbare la portata e la sofferenza di tale catastrofe.   

Nei salotti della politica internazionale così come negli ambienti culturali istituzionali e nella comunicazione di massa, molti rappresentanti dei paesi occidentali continuano a percepirsi come protettori e promotori di valori come la dignità umana e il rispetto dei diritti fondamentali, spesso con un atteggiamento di superiorità e arroganza nei confronti di altri paesi e culture. Questa narrazione autocelebrativa, di fatto sempre contraddetta dalle guerre e dai saccheggi perpetrati dai paesi europei e dagli Stati Uniti in tutto il mondo, è oggi nuovamente smentita dalla storia. Portando Israele davanti alla Corte Internazionale di Giustizia con l’obiettivo di porre fine ai massacri in corso a Gaza, il Sudafrica ha di fatto messo ancora una volta in luce l’intrinseca ambiguità della moralità umanitaria occidentale e l’insostebibile logica per cui a volte (quando conviene) è giusto battersi per i diritti umani e per il rispetto del diritto internazionale, altre volte no.

È molto significativo che sia stato proprio il Sudafrica, un paese che ha vissuto la traumatica esperienza dell’apartheid, ad avere avviato la procedura presso la Corte di Giustizia. Dopo oltre tre mesi di bombardamenti ininterrotti, e nonostante la devastazione documentata da operatori umanitari e giornalisti che hanno pagato con la vita, gli alleati occidentali di Israele rimangono indifferenti o, addirittura, apertamente solidali con la violenza in corso.

Significa che il Sudafrica o gli altri stati che hanno supportato il caso all’Aja siano senza problemi politici e sociali? Ovviamente no, ma in quanto europei, dovremmo imparare a essere più coscienziosi nel guardarci allo specchio, soprattutto in momenti storici come questo.

L’11 gennaio 2024, Ronald Lamola, il ministro della Giustizia del Sudafrica, ha iniziato il proprio intervento di fronte ai giudici della Corte citando Nelson Mandela: “tendendo le nostre mani al popolo palestinese, lo facciamo con la piena consapevolezza che facciamo parte di un’umanità che è una.” I membri della delegazione legale del Sudafrica hanno espresso, in maniera efficace e poi ribadita dalla Corte, un chiaro monito nel considerare la capacità genocida della campagna militare in corso a Gaza, ma hanno anche palesato la loro vicinanza e solidarietà nei confronti del popolo palestinese. Il Sudafrica ha anche ricordato l’importanza di collocare gli eventi attuali in un più ampio orizzonte storico contraddistinto da una situazione di oppressione e violenza strutturale che hanno portato al lento ma costante soffocamento dei palestinesi preparando il terreno per i tragici eventi di questi giorni.

Mentre la Germania, di nuovo dalla parte sbagliata della storia, dopo le prime sessioni della Corte  si impegnava a prendere posizione e sostenere Israele in sede di udienza, la Namibia, che agli inizi del XX secolo subì il genocidio degli Herero e dei Nama inflitto dai colonizzatori tedeschi, ha suggerito al governo tedesco di riconsiderare la propria decisione: “Nessun essere umano amante della pace può ignorare la carneficina commessa contro i palestinesi a Gaza”, ha dichiarato la presidenza della Namibia.

Il Sudafrica ha offerto all’Europa una lezione che va ben oltre gli aspetti giuridici legati alla Convenzione delle Nazioni Unite sul Genocidio (che pur rimangono assolutamente importanti). Quello che è in gioco oggi è il valore stesso del principio di umanità. La violenza, l’instabilità e la distruzione che le cosiddette guerre umanitarie, i tentativi di esportare la democrazia e la “guerra al terrorismo” hanno prodotto in Afghanistan, Iraq e Libia, per fare alcuni esempi, sono crimini della storia con cui l’Europa deve riuscire a fare i conti. L’idea sempre latente che il massacro o la sofferenza dei “civilizzati” siano più traumatici del massacro o della sofferenza degli “altri”, non può più essere accettata da nessuno.

Gli ex colonizzati sono ora potenze globali emergenti o in molti casi ampiamente consolidate che non solo mettono in discussione la retorica occidentale di una superiorità morale proclamata sostenendo il massacro dei palestinesi, ma agiscono ridefinendo (o in altri casi negando) quei valori di cui l’Europa voleva farsi baluardo.

Le gerarchie globali si stanno significativamente riconfigurando e c’è molta incertezza sulle prospettive di pace in diverse regioni del pianeta, ma le sfide che tutti noi abbiamo davanti richiedono un cambio di mentalità, non solo azioni e riparazioni ad hoc. Infatti, il grande rischio è che, di fronte ai fallimenti e all’ipocrisia dell’Europa nel contesto internazionale, anche valori come la pace, la diplomazia e i diritti umani vengano messi in discussione. Se i paesi occidentali sceglieranno di ignorare le decisioni della Corte Internazionale di Giustizia, a farne le spese, oltre ai palestinesi, sarà la credibilità stessa del diritto internazionale.

Manifestazioni di solidarietà con il popolo palestinese si stanno svolgendo in tutta Europa, ma la maggior parte dei leader politici non sembra essere toccata dallo sterminio di migliaia di civili a Gaza. Persiste un clima repressivo in cui la libertà di espressione e l’autonomia intellettuale vengono messi seriamente in discussione. È un momento storico chiave in cui è necessario che la coscienza europea si risvegli attraverso una comprensione rinnovata del concetto di umanità, non più espressione di asimmetrie e gerarchie globali, ma fonte di un umanesimo postcoloniale.

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