Dopo il colpo di stato militare del 1 febbraio 2021 da parte del Tatmadaw (le forze armate del Myanmar), il 2 febbraio e’ stato nominato lo State Administrative Council, ovvero un nuovo esecutivo di governo formato in parte dai militari stessi e in parte da politici di varie fazioni.
Gli esponenti del partito risultato vincitore alle elezioni dell’8 novembre 2020, il Nation League for Democracy (NLD), sono stati incarcerati e tra loro la stessa Aung San Suu Kyi, leader de facto del governo eletto.
Le forze militari hanno colto l’occasione per reclamare il potere e destituire il governo a seguito della compromessa validita’ delle elezioni stesse allorche’ nell’ottobre 2020 la Union Election Commission nego’ la possibilita’ di voto ad oltre un milione di cittadini limitandosi a dichiarare che, a causa dei violenti conflitti interni, non vi erano le necessarie condizioni di sicurezza per recarsi alle urne, senza fornire ulteriori spiegazioni, senza impegnarsi nel trovare soluzioni alternative e nascondendosi dietro ipotetiche raccomandazioni ricevute direttamente dal governo, dalla Defense and Home Affairs Ministries, dai militari e dalla polizia.
Una cospicua parte delle minoranze etniche del paese non ha potuto esprimere la propria preferenza elettorale e tutto cio’ ha ulteriormente inasprito il rapporto estremamente teso tra le minoranze etniche del Myanmar e il governo in carica dal 2015 sotto la leadership del NLD. Le forze militari hanno dichiarato lo stato di emergenza per un anno affermando di dover prendere il controllo del paese per indagare i brogli elettorali del novembre 2020 e preparare la strada per nuove elezioni democratiche.
Questo governo non godeva del sostegno delle minoranze etniche in quanto ritenuto fare gli interessi della maggioranza etnica Bamar e dei militari stessi. Dal 2015 non sono inoltre stati fatti concreti sviluppi nel processo di pacificazione del paese. La popolazione che non si e’ sentita rappresentata ha perso fiducia nelle istituzioni governative e ha iniziato a guardare ai vari gruppi militari armati quale via percorribile per le proprie rivendicazioni.
Il governo eletto a novembre avrebbe dovuto insediarsi in aprile, quindi i tempi erano probabilmente maturi per una offensiva delle forze militari impegnate non solo nella sistematica repressione dei numerosi gruppi armati, ma pronte ora ad un colpo di mano a fronte di un neo eletto governo non in grado di rappresentare le incalzanti istanze delle minoranze.
L’incertezza prodotta dall’attuale situazione complica la condizione umanitaria. La popolazione civile e’ sottoposta da anni alle violenze dello scontro tra esercito e gruppi armati: arresti arbitrari, torture, esecuzioni da parte dell’esercito e sequestri, lavori forzati, e reclutamento di bambini soldato da parte dei gruppi armati. Le vie d’accesso per gli interventi umanitari erano gia’ estremamente complicate prima di questo colpo di stato per via dell’instabilita’ politica del territorio e per le condizioni di abbandono delle minoranze, non solo Royingha, di cui il governo sembra non essersi occupato a sufficienza. Per esempio, dall’inizio del 2019 l’escalation del conflitto tra i militari e l’Arakan Army, che rivendica la rappresentanza della popolazione etnica Rakhine, ha incrementato drammaticamente il numero di profughi e ridotto in parallelo l’accesso agli aiuti umanitari.
Non e’ ancora possibile quantificare l’impatto che l’attuale crisi politica in Myanmar avra’ sulle possibilita’ di intervenire a livello umanitario per sostenere la popolazione stremata da anni di conflitti etnici armati e violazioni dei diritti umani. Intanto, nelle principali citta’ sono iniziate manifestazioni di protesta contro il colpo di stato militare e per la comunita’ internazionale sara’ presto ora di definire una linea politica rispetto alla dittatura instauratasi che pero’ non rappresenti una ingerenza e non comprometta interventi di aiuto umanitario.